Non uccidere i pubblici esercizi

Come Fipe baristi e ristoratori Confcommercio l’abbiamo detto subito: l’emergenza sanitaria e quella economica e sociale sono legate insieme e vanno affrontate, ciascuna con gli strumenti che servono, in maniera unitaria.

Mascherine, distanziamento, igiene personale: si parte di qui, ma il lavoro non deve essere penalizzato, se chi lavora, come sta avvenendo, rispetta i protocolli. Gli accorciamenti degli orari dei pubblici esercizi non sono corretti perché non esiste evidenza scientifica che fissando a mezzanotte la chiusura dei locali i contagi calino. Guai prendere di mira chi lavora rispettando i protocolli.
Ma su un altro aspetto vorrei soffermarmi in questa sede. Il modo di comunicare da parte di chi ha responsabilità. Non dico dei media, che stanno svolgendo degnamentee responsabilmente il loro mestiere, ma della classe dirigente.

Il covid esiste, circola, è pericoloso, i contagi stanno aumentando, la loro letalità per fortuna pare diversa da quella di marzo e aprire e comunque bisogna proteggersi. Questo è bene che ce lo ricordiamo, ma utilizzando una modalità comunicativa che non alimenti visioni apocalittiche e spinga le persone alla depressione, alla angoscia, alla reclusione domestica e alla paralisi dei consumi.

Una decina di giorni fa un esponente importante della politica italiana, quando i contagi erano fermi a duemila, ha detto che ci aspettano otto mesi col coltello fra i denti. Ora che siamo a undicimila contagi al giorno cosa dovrebbe dire?
Mi chiedo: a cosa serve utilizzare l’espressione “col coltello fra i denti?” se non ad alimentare un clima di ansia e, per alcuni più impressionabili, angoscia e disperazione? Non è sufficiente dire che ci aspetta ancora un periodo difficile in attesa del vaccino o comunque di cure efficaci di convivenza col covid19 durante il quale, attenendosi scrupolosamente ali protocolli e alle direttive, comunque si può e deve lavorare, e comunque si può e deve avere un livello di qualità della vita comunque ancora decente.

Che senso ha la disputa quotidiana di epidemiologi, virologi e tuttologi ospiti fissi e chissà quanto pagati in televisione l’un contro l’altro armati? Gli italiani non sono cretini, hanno capito quello che devono fare, e chi dimostra di non averlo ancora fatto deve essere sanzionato e messo nelle condizioni di non nuocere. Ma guai ad alimentare la paura e l’angoscia. Così si finisce depressi e chiusi in casa, con consumi azzerati, con i bar, i pubblici esercizi che chiuderanno, con gli addetti che verranno licenziati, con le famiglie senza danaro e ridotte alla disperazione e che, allora sì, si troveranno col coltello fra i denti ogni minuto per tirare a campare.

Non alziamo i toni, non c’è bisogno di metafore e iperboli. Basta dire pandemia, che è chiaro a tutti. Proteggiamoci e lavoriamo, lavoriamo e proteggiamoci.
Solo proteggendoci non andiamo avanti. Alle imprese sia concesso lavorare senza restrizioni. E stiamo attenti all’uso delle parole. Il coprifuoco c’era ai tempi della guerra, basta dire anticipazione delle chiusure, su cui ribadisco che dissentiamo fermamente.
E anche l’espressione “non c’è più tempo da perdere”, che ogni giorno ci sentiamo ripetere a destra e a manca, ha valore solo per chi ha perso tempo per disporsi a convivere in maniera sostenibile col covid, non certo i pubblici esercizi che hanno fatto e stanno facendo tutto il possibile: anzi più del possibile.

Angelo Malossi, presidente Fipe Confcommercio cesenate

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