La Cassazione: anche i bar dei circoli devono pagare le tasse

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Una recente Ordinanza della Corte di Cassazione fissa i presupposti in base ai quali la gestione di un bar ristoro da parte di un ente non lucrativo (nel caso di specie si trattava di un circolo culturale/ricreativo) possa esser qualificata, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto e di quella sui redditi, come attività “non commerciale”.

In particolare, la Suprema Corte ha stabilito che quando tali enti effettuano attività di somministrazione di bevande rese dietro pagamento di corrispettivi specifici, affinché possano beneficiare dei vantaggi fiscali riservati agli enti “non commerciali” è necessario il concorso di due circostanze:

  1. l’attività di gestione del bar ristoro deve essere svolta esclusivamente in favore degli associati;
  2. tale attività deve essere affine e strumentale rispetto ai fini istituzionali perseguiti dall’ente.

Il primo vincolo, come noto, viene facilmente eluso attraverso il rilascio della tessera associativa al momento dell’ingresso nel locale. Il secondo, invece, è di particolare rilevanza in quanto la Suprema Corte, nella disamina del caso di specie, ribadisce il rincipio secondo cui non basta che l’attività venga svolta solo in favore dei soci, ma è
sempre necessario che la stessa venga realizzata per il perseguimento di finalità istituzionali dell’ente no profit, senza specifica organizzazione e verso il pagamento di corrispettivi che non eccedano i costi di diretta imputazione.

In sostanza, la Suprema Corte, confermando quanto espresso anche in precedenti pronunce, ha avvalorato la posizione della Fipe Confcommercio secondo cui la gran parte dei circoli culturali, sociali e ricreativi, quando svolgono (anche solo in favore dei soci) attività di somministrazione verso il pagamento di corrispettivi specifici, non possono beneficiare dei vantaggi fiscali, dal momento che tale prestazione in alcun modo potrebbe ritenersi strumentale alle finalità istituzionali del circolo culturale/ricreativo.

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La Suprema Corte di Cassazione ha qualificato, ai fini del trattamento tributario, come “commerciale” l’attività di gestione di un bar da parte di un ente non lucrativo quando tale prestazione non è strumentale al raggiungimento dei fini istituzionali dell’ente anche se svolta esclusivamente in favore degli associati.

“Sono anni che aspettiamo. L’Ordinanza della Cassazione riconosce un principio sacrosanto per il quale ci siamo sempre battuti, quello dello ‘stesso mercato stesse regole’. Una regola semplice, banale nella sua elementare comprensione, che tuttavia nella ristorazione non viene applicata. Fino ad oggi esistevano due piani, quello di chi fa ristorazione rispettando tutte le normative fiscali e quello di chi, come alcuni circoli culturali, sociali e ricreativi che agiscono in condizioni di extraterritorialità, sono esentati dalle leggi applicate per tutti gli altri operatori. Questa ordinanza chiarisce che le attività di somministrazione dietro pagamento di corrispettivi specifici, anche se rivolte esclusivamente ai soci, nulla hanno a che vedere con i fini istituzionali perseguiti da questi enti. Pertanto, è logico quanto sostenuto dalla Cassazione, per cui agli enti non commerciali possono essere riconosciuti i vantaggi fiscali esclusivamente per le attività strumentali al raggiungimento dei propri fini istituzionali”. Questa la posizione espressa da Aldo Mario Cursano, vice presidente vicario di Fipe. “Il nostro obiettivo non è penalizzare i circoli, ma tutelare i consumatori e garantire una concorrenza leale nel settore, ed è giusto che chiunque voglia somministrare del cibo e delle bevande dietro compenso lo faccia nel rispetto degli stessi diritti e degli stessi doveri”.

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